lunedì 2 marzo 2015
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«Siate poeti!». L’esortazione con la quale papa Francesco ha concluso ieri il proprio discorso ai rappresentanti della cooperazione cristiana può aver stupito chi lo stava ad ascoltare: uomini pragmatici, alle prese con le ristrettezze nella quali la crisi ancora stringe l’economia nel suo insieme. Quel «siate poeti», però, fa diretto riferimento sia all’etimo greco della parola (il verbo poiein) che riguarda il produrre, il fare, ma anche all’accezione comune di un termine che alla nostra mente evoca subito quanto di più sublime può la capacità creativa dell’uomo. Il poeta, se è veramente tale, opera in modo munifico, è più sensibile di altri a quella innata scintilla di divino che, in ogni persona, sprona a creare ancor più che a trasformare, e poi a gratificare del frutto del proprio lavoro chiunque lo voglia.L’economia tutta, dovrebbe essere poesia: dovrebbe creare e trasformare per appagare i bisogni di chi produce, ma essere poi pronta a metterli in comunione con gli altri. Dovrebbe soprattutto far sì che quella frazione di luce che c’è in noi e che ci stimola ad aspirare in ogni momento al meglio, non si trasformi in un lampo diabolico capace di distruggere il benessere altrui. La cooperazione economica risponde più facilmente a questa esigenza, ed è veramente, come dice il Papa, qualcosa di profetico: co-operare è operare insieme. La cooperazione crea comunità di compartecipi che travalicano, sfidando i limiti della cronologia, le generazioni e danno vita a una solidarietà che abbraccia gli uomini e le donne di un villaggio, di una città, di una regione, di diversi Stati. La solidarietà cooperativa, infatti, è tra persone, ma anche tra imprese e tra consorzi di imprese, in una rete complessa che, attraverso gli organismi di coordinamento – si pensi che l’Alleanza cooperativa internazionale fu fondata nel 1895 –, opera già su scala mondiale.Un primo passo verso quella «globalizzazione della solidarietà» tanto cara a papa Francesco? L’ottimismo di chi scrive pensa che sia così, nonostante gli attacchi palesi o occulti che altri organismi di natura economica, anch’essi operanti su scala internazionale, ma con ben altre finalità, stanno da tempo riservando al mondo della cooperazione. Spesso, purtroppo, con l’acquiescenza di una politica cieca o distratta. Qualunque occasione, lo si vede anche in questi giorni, è buona per segnalarne (molte volte ricorrendo a veri e propri travisamenti della realtà) inadeguatezze, per denunciarne presunti conflitti interni o concorrenze considerate sleali. O per generalizzare maliziosamente quando una parte di questo mondo tradisce se stesso. Il punto di partenza, di solito, è quello di considerare lo strumento cooperativo come qualcosa di adatto alle società meno evolute, agli ambienti circoscritti e tali da doversi contenere esso stesso in ambiti dimensionali limitati: un retaggio del passato, quindi, antistorico e adeguato per ambiti di mercato ridotti o protetti.Tali posizioni trascurano del tutto la componente "poetica" dell’economia: il fare – secondo una logica economicistica che aspira da tempo a porsi come legge naturale – non potrebbe che essere spinto dall’interesse personale o, al massimo, dall’interesse esteso a pochi intimi. Anche l’impresa cooperativa – ebbe a scrivere Maffeo Pantaleoni – è mossa dall’egoismo: si tratta di una associazione di piccoli egoisti che si sfalderà non appena l’esorbitante egoismo di un socio si ergerà sopra quello degli altri. Se così la pensava un grande economista liberale, in modo non molto diverso ragionavano i socialisti massimalisti che negli stessi anni definivano la cooperazione «un semenzaio di piccoli borghesi»!Sono importanti, quindi, le parole di Francesco che esortano a rimanere fedeli, seppur nell’invenzione di nuove tipologie di imprese cooperative, ai princìpi originari e in particolare alla pratica della ridistribuzione automatica dei profitti nel momento stesso della loro formazione. Pratica, questa, espressa in modo differenziato, ma presente in tutte le componenti del variegato mondo della cooperazione.La più radicale giustificazione razionale dell’opposizione alla logica del profitto individuale come motore unico dell’economia, viene però dalla cooperazione a ispirazione cristiana ed è oggi una delle «ricchezze» che, per seguire l’indicazione del Papa, possono essere offerte a tutto il movimento. Giuseppe Toniolo (echeggiando quanto già affermato da cattolici come Wilhelm Emmanuel von Ketteler o luterani come Friedrich Wilhelm Raiffeisen) scriveva nel 1900 della necessità di dar vita a una «economia nuova» a partire da una «cooperazione nuova». Il motore doveva essere certamente quello dell’interesse individuale, ma limitato dall’attenzione disinteressata al bene altrui: egoismo temperato dalla compassione. Con questi mattoni anche oggi è possibile costruire, alla ricerca del bene comune, l’efficienza della solidarietà: un pizzico di carità dentro la vita concreta rende tutto più fluido e da frutti che, a ben guardare, sfidano – come dice Francesco – anche le regole fredde della matematica.
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